La vera differenza tra l’originale Mirror’s Edge e il suo reboot, non è da ricercarsi nella virata, comunque impattante e drastica, verso l’open world, quanto nei dettagli, in una netta presa di distanze, ludica e concettuale, in parte dovuta, dopo l’insuccesso commerciale patito nel 2008, in parte obbligata, da un trend globale che tuttavia non è forzatamente sinonimo di qualità.  Quell’esperimento in prima persona di tanti anni fa, sprizzava personalità e sperimentalismo da ogni poro. Non era un prodotto di facile lettura, immediato, main stream nel senso classico del termine. Era un intricato puzzle game, coerente con sé stesso sino alle estreme conseguenze, sino al proporci una protagonista volutamente alienante, apatica, specchio (e doppio) di un mondo la cui oppressione a qualsiasi forma di diversità andava scardinata anche a costo di rinunciare a quell’ordine tanto agognato da parte della nostra specie.

Criticato per la sua eccessiva linearità, il capolavoro DICE