Il vagabondo non sa, non conosce, è in balìa del vento e dei sentieri, dei boschi e delle pianure, dei deserti è delle montagne. Non decide lui dove andare, si piega ai capricci del destino e del mondo che deve attraversare. Deve, è condannato, non può decidere di non farlo. I suoi sogni lo tormentano, una misteriosa malattia lo affligge, ma quale sia la loro natura non è dato saperlo, lui soffre e allora deve muoversi, deve agire, senza scopo, senza un fine, senza seguire traccia alcuna. Non ha una storia, non ha un volto, non è un eroe del quale qualcuno un giorno scriverà o canterà le gesta, è un granello di nulla sbattuto dal fato. Forse sta morendo, forse tutto il mondo sta morendo, ma non sembra essere importante, non c’è urgenza nel suo peregrinare, c’è rassegnazione. E allora Hyper Light Drifter non racconta la storia del suo protagonista, piuttosto ne descrive il tormento; non è un’avventura dall’ampio respiro, è un sentimento ermetico e oscuro.
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Heart Machine porta finalmente a compimento la propria visione, con un action adventure unico, che entra nella storia delle produzioni indipendenti: la recensione di Hyper Light Drifter
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