David Cage è un abilissimo venditore, un istrionico ipnotizzatore di folle, un invidiabile promotore di sé stesso e delle sue idee. Mosso da sincera passione verso il suo lavoro e legittimato dall’indiscutibile estro creativo, per molti è un artista incompleto, stritolato dalle sue ambizioni che galleggiano tra due media spesso in evidente contrasto tra loro. Del resto, se Kojima affoga il pur solidissimo gameplay in sequenze non interattive prolisse, al designer francese si biasima la fragilità della struttura ludica, quasi totalmente rappresentata da quei QTE che finiscono per mortificare l’interattività quale caratteristica che più di altre inquadra, definisce e distingue il videogioco.

Un parere rispettabile, persino condivisibile, che tuttavia non rende giustizia allo sforzo concettuale infuso da Cage in ogni sua creatura, sin dai tempi di Omikron: The Nomad Soul. Sarà anche vero che il suo curriculum annoveri più “film interattivi” che “videogiochi”, qualunque cosa si scelga di d...