“Ma lo sai che l’armatura Goron assomiglia clamorosamente a quella Rhenoplos?” E’ tutto iniziato lì, quando parlando con un fido collega, spesso compagno di cacce in un qualunque Monster Hunter e anche lui al lavoro su The Legend of Zelda: Breath of the Wild, feci il primo raffronto mentale tra la serie Capcom e l’ultimo, meraviglioso capitolo della storica serie, un videogioco che ridefinisce del tutto la struttura ludica dell’open world, non solo allargandosi, distendendosi su spazi enormi, ma soprattutto riempiendo quegli spazi, infilandoci dentro tanta sostanza ludica: sacrari da esplorare, enigmi ambientali da risolvere, ardui combattimenti al termine dei quali ergersi vittoriosi, armi e armature da comprare o trovare e migliorare, oggetti da raccogliere, occasionalmente anche in maniera intensiva (farmare, nel linguaggio videoludico), appartenenti a vari tipi, sia reperibili nell’ambiente, sia lasciati dai nemici (leggasi: droppati).

Colui che è abit...