Una volta era più semplice. Bastava sapere che Nintendo, che Square Enix, che Konami fossero a lavoro su una nuova produzione per essere certi che qualcosa di buono, se non un capolavoro senza tempo, sarebbe certamente uscito fuori. Quando i poligoni erano solo il sogno proibito degli amanti di fantascienza e i budget stanziati per un videogioco non raggiungevano cifre astronomiche, in quei bei tempi ormai andati erano le software house, quando non i publisher stessi, a garantire qualità e solidità di un progetto.

Oggi, in buona parte, sono per lo più i nomi, i singoli artisti a fungere da cassa di risonanza per un titolo in sviluppo. Tempi e dinamiche diverse, certo, complice anche un flusso maggiore di informazioni che ci permette di conoscere dettagliatamente i singoli addetti ai lavori, ma anche cartina tornasole dell’estrema facilità con cui artisti e game designer fondano nuovi studi o accettano le migliori offerte della concorrenza.

Eppure, nonostante tutto, per pubblico e fan n...