Quella in atto, almeno in buona parte del mondo, è una vera e propria transizione concettuale, una rocambolesca rivoluzione ontologica che sta, o quanto meno sta tentando, di scardinare antiche definizioni e categorizzazioni ormai anacronistiche. Si tratta di un’eccitante riconsiderazione filosofica, volta, in ultima istanza, a (ri)collocare il videogioco nel nebuloso insieme degli oggetti culturali estetizzanti. Per dirla in parole povere, esperti del settore e non, già da diverso tempo, si arrabattano e si combattono cercando di rispondere alla solita domanda: tentare di salvare una principessa rapita, raccogliendo monete e saltando di piattaforma in piattaforma, può definirsi arte?

Una disputa trita e ritrita, ce ne rendiamo conto, fondamentalmente priva di conclusione e termine, dal momento che essa è parte integrante di quella branchia degli studi umanistici, l’estetica per l’appunto, che per natura rigetta e nega qualsiasi arroccamento su principi e precetti che possano sopravviv...