Nel 2013 l’Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna ha inaugurato l’Area deV, sezione che mira alla salvaguardia e alla valorizzazione dei videogiochi realizzati in Italia, che sono tanti e sono sempre di più. Da allora l’Area deV è cresciuta: sono ben 20 le software house che hanno aderito all’iniziativa. Con l’intervista a Breaking Bytes si apre un ciclo di articoli, a cura dell’Archivio, dedicati alle realtà italiane che producono videogiochi: cinque domande per conoscerle meglio.

 

1. La prima domanda, di rito, non poteva mancare: da dove venite? Chi siete? Dove andate? E perché vi chiamate Breaking Bytes?

Siamo un piccolo gruppo formato da quattro persone. Dario Fantini che si occupa principalmente del coding, del design del gioco e della parte audio. Alberto Cristofaro, project manager e game designer. Walter Samperi, lead graphician, game designer e responsabile traduzioni. Vittorio Barbera, grafico e concept artist. Spinti da interessi in comune e dalla voglia di creare qualcosa che anche altri appassionati di videogiochi come noi potessero apprezzare, ci siamo riuniti sotto l’effige di Breaking Bytes. Per quanto riguarda il nome, l’abbiamo scelto semplicemente perché secondo noi suonava bene ma anche perché rievoca i tipici nomi di alcune software house d’altri tempi e soprattutto di alcuni gruppi della demoscene anni Novanta.

Xydonia screenshot

Xydonia – screenshot

2. Siete al lavoro sul vostro primo gioco, Xydonia. Ci volete parlare un po’ del titolo?

Xydonia è il nostro progetto di punta. Si tratta di uno shoot ‘em up a scorrimento orizzontale con un dichiarato stampo old school. Le nostre influenze principali sono i classici giapponesi come Gradius, R-Type, Darius, Thunder Force e Axelay; per la struttura narrativa ci siamo rifatti allo Star Fox di nintendiana memoria. Il nostro obiettivo infatti è quello di realizzare un vero e proprio tributo agli sparatutto del passato utilizzando le linee guida del filone arcade giapponese. Stiamo realizzando un’esperienza che speriamo riporterà gli appassionati all’epoca d’oro del genere, con le giuste concessioni alla modernità. Vogliamo regalare al giocatore una trama accattivante, caratterizzata da un flow di gioco dinamico e una progressione degli stage non lineare, ma mutabile in base alle scelte che verranno intraprese nel corso dell’avventura. Miriamo a creare la migliore esperienza possibile per il videogiocatore affamato di SHMUP.

 

3. Il vostro è uno sparatutto vecchia scuola, difficoltà compresa. A proposito di sfida, è indubbio che col passare del tempo questa componente abbia in parte perso l’importanza che aveva tra gli anni Ottanta e Novanta. Oggi, parliamoci francamente, i giochi sono più facili. Eppure voi state realizzando un gioco difficile. Ritenete la sfida una componente necessaria, quasi connaturata all’esperienza videoludica, oppure si tratta di una caratteristica imprescindibile solo in alcuni generi? La sfida fa il videogioco, oppure no?

La sfida è una componente fondamentale, se il genere lo richiede. La mancanza o la poca attenzione verso questo aspetto nei videogiochi attuali, soprattutto mainstream, non è da sottovalutare. I game designer di oggi, che scelgono di trascurare questa caratteristica nei loro titoli, privano il giocatore di quel senso di soddisfazione che un’esperienza videoludica può trasmettere una volta completata. Nel nostro caso è una componente imprescindibile: il gioco è pensato per essere impegnativo, ma allo stesso tempo cercheremo di evitare che diventi troppo frustrante. Il nostro obiettivo è raggiungere un livello di difficoltà ben calibrato attraverso un meticoloso lavoro di design che, ci auspichiamo, invoglierà il giocatore a diventare man mano sempre più bravo. Tutto ciò va anche a favore della longevità del titolo stesso. Ritornando alla domanda iniziale, riteniamo che sia proprio la sfida a costruire il videogioco, ma soprattutto a formare il videogiocatore.

Xydonia screenshot

Xydonia – screenshot

4. Dal punto di vista estetico Xydonia è evidentemente retrò. Non sottovalutiamo però le musiche: a cosa vi state ispirando per rendere al meglio le sonorità 16-bit?

Stiamo componendo la colonna sonora del gioco (effetti compresi) sul chip del Sega Mega Drive, l’YM2612, grazie a dei tool che ci permettono di generare musica ed effetti che il sistema era davvero in grado di riprodurre. Vogliamo rievocare il sound FM dell’epoca arcade e console dei primi anni novanta, tipico proprio degli shoot ‘em up giapponesi d’annata ai quali ci ispiriamo (in particolare produzioni Technosoft, Konami, Treasure e Sega). Inoltre, il suono puramente elettronico della sintesi FM, versatile ma molto complesso ed imprevedibile, ci aiuta a conferire un tono molto futuristico e metallico alla soundtrack, che ben si sposa con la componente grafica. Si tratta di un chip sonoro spesso bastonato, proprio perché difficile da utilizzare (e lo dimostra la qualità incostante delle OST su Mega Drive, alcune strepitose e ricche, altre decisamente blande) ma siamo dell’idea che, se sapientemente programmato, potrà offrire delle sonorità ancora attuali.

 

5. Di industria italiana del videogioco si inizia a parlare sempre più spesso. Secondo voi che prospettive hanno, o vorreste che avessero, i dev in Italia?

È un periodo davvero fiorente per gli sviluppatori italiani: vediamo nascere ogni giorno numerosi e interessanti progetti portati avanti da grandi e piccoli team. Ci piacerebbe che l’esportazione e soprattutto la valorizzazione di questi prodotti nostrani diventasse più efficiente. Grazie alle piattaforme di distribuzione digitale adesso abbiamo sicuramente più voce in capitolo in ambito internazionale, ma non è abbastanza. Molto spesso chi è alle prime armi, con tanto entusiasmo e speranze in un progetto, si ritrova davanti un muro di burocrazia. Speriamo che con la crescita dell’industria videoludica italiana queste barriere possano essere ridimensionate.

Xydonia screenshot

Xydonia – screenshot